martedì 19 aprile 2011

Servi, Padroni o Vesponi?

Dura la vita dei Padroni; quanta fatica, quanta responsabilità nell'essere a un tempo guida e deterrente, bastone e carota, esempio da emulare sebbene irraggiungibile. Pensate, quante difficoltà, quanti dispiaceri, in queste vite votate al lavoro (degli altri) e al buon funzionamento di insiemi complessi (famiglie, aziende, su su fino a società e stati) che, è evidente, senza di loro crollerebbero come castelli di carte, o meglio si affloscerebbero come maionesi mal frustate. Come non capirli, dunque, i Padroni, se alle volte cedono a qualche tentazione, se assecondano qualche debolezza? Niente di più naturale, di più umano. E, pur non avendo alcuna esperienza al riguardo, alieno come sono da ogni brama di comando, ho come il sospetto che la tentazione più grande per chi è Padrone sia quella di poter divenire come i propri Servi, cioè i veri privilegiati, persone senza pensieri o preoccupazioni, perchè qualcuno ha già provveduto a inserire le loro vite in un Cosmo ordinato, rotelle in un ingranaggio, o chicchi di riso nel risotto che altri, i Padroni appunto, mangeranno; immagino con che gioia un Padrone si abbandonerebbe alla deriva di una obbedienza cieca e animalesca, per provare finalmente quella rilassante sensazione di spensieratezza, quella sana allegria senza retrogusti, da assaporare nella pienezza di una vita tutta assorbita dal presente, anziché dispersa in magnifici e progressivi progetti da realizzare, o meglio da far realizzare, in un futuro prossimo o remoto da ignave, se non riottose, risorse umane. Ma come fare? In che modo un Padrone può realizzare un simile inespresso desiderio senza apparire insano di mente? Ma naturalmente divenendo Servo d'amore, ovvero schiavo tra le debolezze di quella che più comprendiamo, che più perdoniamo e spesso anche invidiamo. E, meglio ancora, Servo amoroso di chi a qualunque titolo sia stato suo servitore: che emozione, che ebbrezza allora, dimostrare il proprio potere cedendolo a chi è solito obbedirci! Adoperare tutta la propria esperienza e competenza nel dominio per farsi meglio dominare, approntarsi un proprio personale contrappasso già qui sulla terra, aggiungendo alle altrimenti banali e ripetitive faccende erotiche anche quel senso di onnipotenza che dà il poter dire: “Mi sono rovinato con le mie stesse mani”! Ecco, credo che questa attrazione tra due ruoli che si vorrebbero contrapposti e inconciliabili, descritta con un'enfasi scherzosa che spero mi si perdonerà (soprattutto perché, con un argomento simile, a parlar seriamente avrei rischiato di inoltrarmi in un impervio côté sadiano-intellettual-psicanalitico del quale io per primo non mi sarei perdonato), sia una delle possibili chiavi di lettura dell'operina che oggi mettiamo in scena, oltre che, ça va sans dire, di alcune poco edificanti vicende di cronaca. Attrazione reciproca, s'intende, giacché nel mentre che il Padrone agogna lo stato di Servo, il Servo (o la Serva) anelano a farsi padroni. Così che, dopo poche battute della storiella di Serpina che da serva diviene padrona riuscendo a farsi sposare dal vecchio brontolone Uberto, capiamo che i due ruoli sono del tutto intercambiabili, e che entrambi rientrano in quel retaggio umano, troppo umano che condividiamo con tutti i nostri simili. Alla luce di tale valenza esemplare, archetipica del pur semplicissimo intreccio, ci siamo quindi permessi di attualizzare, nelle essenziali scene e negli abiti degli interpreti, l'azione immaginata dal librettista Gennarantonio Federico, sicuri che nulla andrà perso della sua intelligibilità. Ma se c’è un particolare che più connota la nostra versione rispetto ad altre non è certo questa ambientazione moderna, ormai pressoché abituale per tutto il repertorio operistico; bensì, piuttosto, il rilievo dato a Vespone, personaggio che non canta né parla, nel libretto indicato come “servo di Uberto” ma capace di far valere la propria individualità facendosi complice di Serpina nell'indurre il riluttante (ma non troppo) padrone al matrimonio. E’ un’idea scenica che, nata dall’intenzione di affidare più spazio possibile alle esilaranti trovate del Freakclown che sosterrà la parte, si è man mano imposta anche come efficace modo di suggerire la possibilità, vorrei dire la necessità, di una “terza via” tra i due ruoli eponimi: troppo a lungo ci si è riconosciuti e divisi in Servi e Padroni; talora, beffa che si è unita al danno, anche ipocritamente mascherando la cruda realtà di tali funzioni con travestimenti linguistici, come se la political correctness potesse mai mutare la brutale sostanza delle cose. E se cominciassimo invece tutti a voler essere un po' Vesponi, incapaci sia di servire che di comandare, allegramente anarchici, irresponsabilmente ridanciani? Forse saremmo più felici e faremmo meno danni al prossimo; e sicuramente aggiungeremmo alla causa della felicità umana una di quelle risate libere e sonore che, prima o poi, dovranno pur seppellire qualcuno.
Luca Schieppati


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